Il Ravenna Festival, tra le istituzioni culturali più stimate d’Europa, vive settimane di tensione e interrogativi. Dopo il rinvio a giudizio del violoncellista Michele Marco Rossi per presunti maltrattamenti nei confronti di una ex compagna – accuse che l’artista respinge definendosi «totalmente innocente» – la sua nomina a codirettore artistico del Festival, condivisa con la moglie Anna Leonardi, è finita al centro di un caso nazionale.
La doppia designazione, avvenuta il 4 agosto 2025, è stata approvata dal consiglio di amministrazione della Fondazione Ravenna Manifestazioni, ente di diritto pubblico presieduto dal sindaco Alessandro Barattoni, senza bando o procedura aperta. La vicenda solleva oggi non solo questioni giudiziarie, ma anche perplessità etiche e istituzionali sul metodo e sul merito della scelta.
Una nomina privata in un contesto pubblico
A colpire l’opinione pubblica non è soltanto il rinvio a giudizio di Rossi, ma la modalità stessa della sua designazione “privata”, maturata all’interno di una Fondazione sostenuta in modo determinante da fondi pubblici, regionali e comunali.
In un contesto simile, la assenza di un concorso trasparente o di un avviso pubblico contrasta con i principi di correttezza e accessibilità che dovrebbero regolare l’assegnazione di incarichi culturali in enti di interesse generale. Un festival di rilevanza internazionale come Ravenna non può essere gestito – come osservano numerosi operatori culturali – «secondo logiche di corte», dove decisioni di natura fiduciaria prevalgono su criteri di competenza, indipendenza e rappresentatività.
Il nodo della coppia ai vertici
La scelta di nominare una coppia coniugale ai vertici di una stessa istituzione culturale solleva inoltre questioni di opportunità e di governance.
Anche al di là dei profili penali, appare discutibile – secondo diverse fonti accademiche e professionali – che un’istituzione pubblica affidi ruoli di vertice a due persone legate da un vincolo familiare, con il rischio di concentrazione decisionale e di conflitto d’interessi, anche solo potenziale.
Il buon senso suggerisce che la cultura pubblica si fondi su pluralità di sguardi, autonomia critica e separazione dei ruoli, principi difficilmente garantibili quando la direzione artistica coincide con un rapporto personale.
Si tratta di un precedente che potrebbe aprire interrogativi anche in altri contesti del sistema culturale italiano, dove le nomine pubbliche dovrebbero rispondere non a rapporti di fiducia privata, ma a criteri oggettivi e comparativi di merito.
Il ruolo della Fondazione e le dimissioni di Rossi
Dopo la diffusione dell’interrogazione comunale del consigliere Alvaro Ancisi, il 7 ottobre la Fondazione ha comunicato nella notte che Rossi aveva presentato le proprie dimissioni e che il Consiglio le aveva immediatamente accettate, specificando di «non essere a conoscenza del procedimento penale in corso».
La direzione del Festival resta così affidata ad Anna Leonardi e Angelo Nicastro, con quest’ultimo prorogato nel ruolo di supervisione artistica.
Resta tuttavia aperta la domanda su come sia stata condotta la selezione e quali controlli preventivi siano stati effettuati.
Il regolamento prevede infatti che i dirigenti di enti pubblici presentino una dichiarazione sostitutiva sull’assenza di procedimenti penali. Se tale dichiarazione non fosse stata richiesta o verificata, si tratterebbe di una mancanza amministrativa rilevante.
Una questione di responsabilità culturale
Ravenna Festival è un’eccellenza internazionale, costruita in oltre trent’anni grazie anche al contributo determinante di Cristina e Riccardo Muti, figure simbolo della città e della sua identità musicale.
Tuttavia, come ricordano molti osservatori, il prestigio acquisito non può giustificare una gestione privatistica di un bene pubblico.
La cultura non è proprietà di chi la amministra, ma un patrimonio collettivo: richiede regole, trasparenza e responsabilità verso la comunità che la sostiene.
Non si tratta dunque di mettere in discussione le benemerenze di chi ha fatto grande il Festival, ma di ribadire che le istituzioni pubbliche devono restare accessibili, verificabili e pluraliste. Solo in questo modo un festival può continuare a rappresentare l’intera cittadinanza, non una cerchia ristretta o familiare.
Uno sguardo al futuro
Per garantire credibilità e continuità, diversi esponenti del mondo culturale propongono che la Fondazione Ravenna Manifestazioni apra un bando pubblico per la direzione artistica delle edizioni successive, come già avvenuto per la stagione lirica e di danza del Teatro Alighieri.
Una selezione trasparente, basata su titoli e competenze, sarebbe un segnale di ripartenza istituzionale e di rispetto verso un pubblico che da decenni identifica Ravenna con la qualità, la serietà e l’inclusione culturale.



